Articolo realizzato in collaborazione con Matteo Gamberi, Consulente Senior RISTOBUSINESS
È oggettivo che il settore HO.RE.CA, riguardo Recruiting e Talent acquisition, vede attualmente alcune complessità nel reperimento di profili e figure professionali, determinando una maggiore difficoltà nell’identificare e nel selezionare candidati desiderosi di affermarsi in questo ambito professionale.
Secondo l’ultimo rapporto annuale FIPE (2023), circa il 70% delle imprese italiane del settore segnala, tra le altre, difficoltà nel reperire personale qualificato.
Da alcuni anni assistiamo querelle mediatiche a riguardo, con articoli o video denuncia in cui il titolare di turno attribuisce alla questione una dimensione esogena, citando reddito di cittadinanza, la poca voglia di lavorare dei giovani, zero spirito di sacrificio ecc.
Di certo la verità non sta nella narrazione mainstream, che offre una visione drogata e parziale.
È evidente che sempre meno persone sono attratte da lavori legati al mondo della ristorazione, e che un’attività che non può contare sulla forza lavoro è destinata a non riuscire più a stare in un mercato sempre più competitivo e costoso da gestire.
Quali sono i motivi?
Oltre alla dimensione sociale che è presente, è tuttavia funzionale ed equo mettere in discussione anche i pattern di settore ed i modelli di gestione di impresa che non hanno rilevanza inferiore, anzi.
Parliamo infatti di un tessuto imprenditoriale frammentato, composto con alta prevalenza da micro e piccole imprese, dove è spesso ricorrente l’assenza di lungimiranza, unione e tecniche di management: non le condizioni ideali per una innovazione strutturale e attrattività aziendale che, alla luce dei fatti, saranno sempre più necessari per stare sul mercato.
Non è casuale la crescita delle catene di ristorazione, che nella maggioranza dei casi offrono welfare più capillare e distribuito soprattutto nel work life balance. Nel 2023 hanno rappresentato circa l’11% del mercato (pari a 9,9 miliardi di euro), segnando un raddoppio della quota rispetto al 2011 (5,8%, 4,2 miliardi di euro).
La cultura aziendale come base di partenza
Nelle attività di consulenza, uno dei primi elementi di osservazione è proprio la modalità con cui l’azienda sceglie di impostare l’employer experience, quindi il contesto professionale in cui i collaboratori vengono scelti, operano e vivono.
Questo concetto è decisivo: nella ristorazione è la qualità dell’ambiente interno a determinare la qualità dell’ambiente esterno, più difficile il contrario. In altre parole, la qualità delle relazioni e l’efficienza dei sistemi sono tra i principali elementi che influiscono sulla percezione positiva del cliente.
Ecco, quindi, l’importanza della cultura aziendale, ovvero l’insieme di valori, approcci, linee di condotta, stile di relazione e comunicazione, direzioni ed obiettivi che compongono la filosofia dell’azienda.
Più la cultura è significativa, riconoscibile (e chiara) più ha valore strategico e stimola l’ingaggio dei collaboratori, e l’azienda sarà posizionata sul mercato in modo forte e netto.
Cultura e Clima aziendale
Il clima aziendale è la sintesi del modo in cui le persone percepiscono e interpretano il proprio ambiente di lavoro.
Per comprendere meglio la profondità dei meccanismi relazionali che si palesano in un rapporto professionale, utilizziamo le ricerche di Edgar Schein, professore del MIT, è l’insieme di 3 principali assunti di base:
1. Artefatti
Il livello del fisico e visibile, ovvero l’organizzazione si esprime anche attraverso le cose. Pensiamo a che tipo di cultura c’è dietro ad un’azienda dove, ad esempio, esiste il benefit computer + ufficio per il manager e
come è invece diversa da un’azienda dove il manager non ha nemmeno una scrivania da appoggio su cui usare il proprio pc.
2. Valori
Il livello del detto esplicito. Non c’è niente di più immediato, quando si entra in contatto con un’azienda, della corrispondenza tra ciò che viene detto (o promesso) e ciò che nella realtà accade. In questo livello rientra anche la comunicazione interna aziendale e tutte le azioni che hanno l’obiettivo di creare senso di appartenenza tra i collaboratori.
3.Assunti
Il livello profondo e non detto. Si tratta di tutti codici e comportamenti che non hanno bisogno di essere espressi per influenzare l’organizzazione. Sono gli automatismi intrinseci che regolano rapporti e azioni dei collaboratori, di cui gli stessi membri sono spesso inconsapevoli, tanto sono radicati.
Quest’ultimo livello è il più complesso da “modificare” perché include abitudini e schemi di comportamento consolidati, ma è anche quello che fa la differenza.
La cultura aziendale c’è
Il concetto è proprio questo: al netto del livello di attenzione riposta, la cultura esiste in ogni azienda. È impossibile “non averla”, va semplicemente deciso se gestirla o meno, quindi dare o non dare parametri tecnici, relazionali, di condotta come riferimento alla comunità che popola l’azienda.
Chiudo l’articolo con una frase emblematica, di alto impatto e riconoscibilità, per concretizzare il contenuto trattato.
Questa frase apriva la Carta dei Valori della Carnegie Steel Company, azienda siderurgica di Andrew Carnegie (1835/1919), imprenditore e filantropo scozzese.
“Portatemi via la mia gente e lasciatemi le aziende vuote e presto l’erba crescerà sul pavimento dei reparti. Portatemi via le aziende e lasciatemi le persone con cui lavoro e presto avrò aziende migliori di prima.”